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🏆 VINCITORE DEL LEONE D’ARGENTO (GRAN PREMIO DELLA GIURIA) AL FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA 2024
🏆 CANDIDATO AGLI OSCAR 2025 COME MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE
AUSTERO E POETICO, VERMIGLIO RACCONTA DELL’ULTIMO ANNO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE IN UNA GRANDE FAMIGLIA E DI COME, PER UN PARADOSSO DEL DESTINO, ESSA PERDA LA PACE NEL MOMENTO STESSO IN CUI IL MONDO RITROVA LA PROPRIA; UN’OPERA DELICATA E MATURA IN CUI LA REGISTA “ATTRAVERSANDO UN TEMPO PERSONALE, VUOLE OMAGGIARE UNA MEMORIA COLLETTIVA.”
«Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate. Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande famiglia. Una storia di bambini e di adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un paesaggio dell’anima, un “lessico famigliare” che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese.» (Maura Delpero)
«È un film affascinate e ipnotico Vermiglio, costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso in fuori campo (come per il destino di morte di Pietro) lasciando a noi spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento. (…) L’archivio di forme e il registro metaforico di autori come Pietrangeli, Olmi o Pasolini è in più occasioni evocato e rimodellato ma mai sterilmente serigrafato. Così come il confine tra pratiche del documentario e spinte finzionali viene più volte valicato nel fertile lavoro antropologico su attori e luoghi. Un rigore formale che rende ancora una volta universale il tema della maternità tra dimensioni pubbliche e private, folklore e dolore. » (Pietro Masciullo, Sentieri Selvaggi)