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Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente

castSasson Gabay, Baya Belalì, Myriam Tekaïa, Ulrich Tukur

All’indomani di una tempesta, il pescatore palestinese Jafaar (interpretato da Sasson Gabai, già vincitore dell’European Film Award per La Banda) si ritrova per caso nella rete un maialino vietnamita: dopo aver tentato di sbarazzarsi dell’insolito naufrago, l’uomo decide di “approfittare” di quella pesca inaspettata, lanciandosi in una ingegnosa quanto rocambolesca iniziativa…
Tra soldati e coloni, check-point e kamikaze, una commedia surreale che come una favola si apre alla speranza.

“Inutilmente appesantito da un titolo italiano ‘alla Wertmüller’ (quello internazionale è ‘Quando i maiali hanno le ali’), un apologo in forma di commedia degli equivoci ispirato, divertente e anche coraggioso. Perché osa trattare il conflitto tra palestinesi e israeliani mostrandone la parte assurda e tirando paritariamente colpi agli uni e agli altri: così convinti di rappresentare valori opposti, mentre si somigliano più di quanto sembri. Nel guardare le stesse telenovelas, ad esempio (seguite assieme da Fatima e da un soldato israeliano) o nel prendersela con un incolpevole maiale.” (Roberto Nepoti, ‘La Repubblica’, 19 giugno 2014)

“Irresistibile commedia francese d’ambientazione a Gaza (il suo titolo originale è infatti ‘Le cochon de Gaza’, II maiale di Gaza), meritatamente premiata col César come opera prima, offre una boccata d’aria fresca nella pur ricca filmografia sul territorio in questione. Un punto di vista surreale, un evento impossibile ma poeticamente plausibile reso indimenticabile dallo sguardo di un esordiente transalpino (peraltro di origini né ebraiche né palestinesi) nutrito dal desiderio di portare un contributo di Pace ed Arte: ce ne fossero. Da non perdere.” (Anna Maria Pasetti, ‘Il Fatto Quotidiano’, 19 giugno 2014)

“Che magnifica sorpresa. Non fatevi ingannare dal chilometrico titolo tradotto stile Wertmüller. Questa commedia fianco-belga è un piccolo capolavoro di umorismo. (…) Con acuminati sberleffi, ben distribuiti tra palestinesi e israeliani.” (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 19 giugno 2014)

“Un’altra fiaba, come ‘Giraffada’, che viene dalla Palestina in fiamme, segno che una critica sociopolitica oggi passa attraverso la metafora con animali. (…) L’Intifada vista nella prospettiva folklorica di un ritratto paesano sfocia a volte in una dura posizione politica, alleggerita dalla commedia di equivoci e dal ritratto di un uomo che pratica l’arte di arrangiarsi. Il non detto di questi interni poveri, fra gente che risparmia anche sulle parole, sono il lato più Interessante di una cinematografia poco presente sui nostri mercati.” (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 19 giugno 2014)

“Prima o poi qualcuno scriverà una storia del cinema dal punto di vista degli animali, nel senso degli animali usati come personaggi a tutto tondo, e ne vedremo delle belle. Dalla vacca di Buster Keaton all’asino di Bresson fino ai compagni di sventura del naufrago in ‘Vita di Pi’, passando per chissà quanti cani, gatti, scimmie e cavalli (perfino Godard ha messo il cane di casa al centro del suo ultimo film), registi e autori non hanno smesso di ricorrere alle più varie specie animali per sviluppare il racconto e talvolta il sottotesto filosofico, sociale o religioso dei loro film. A quest’ultima categoria appartiene senz’altro il maiale beffardamente piazzato dall’esordiente Sylvain Estibal nelle reti di un pescatore… palestinese. Il maiale è infatti l’animale più impuro che ci sia per i musulmani. E tirare su con la rete un bel porcellino vivo, nel mare sempre meno pescoso di Gaza, è un oltraggio e una disgrazia per il povero Jafaar (lo straordinario Sasson Gabay che qualcuno ricorderà nel film israeliano ‘La banda’. (…) ‘Le cochon de Gaza’, cioè «Il maiale di Gaza», come suona il titolo originale, è un film satirico abbastanza all’antica e non sempre molto sottile, che però ha dalla sua diverse anomalie molto interessanti. La più vistosa riguarda l’autore, uno scrittore e giornalista franco-uruguayano estraneo al cinema come alle due nazionalità in gioco nel film. Il che sulle prime può lasciare perplessi, ma fa riflettere. Perché mai sulla questione palestinese (o israeliana) dovrebbero intervenire solo i diretti interessati? Estibal difende la sua libertà d’autore, scompiglia le carte, non rispetta niente e nessuno. E tra un omaggio a Chaplin e uno a Fernandel sfiora l’Intifada, il muro d’Israele, il fanatismo e il culto dei martiri. Lasciando il terreno della farsa solo per un’isolata impennata poetica (nel frattempo l’ingenuo Jafaar è diventato il primo ‘martire’ vivo e vegeto – in pratica una star – della storia islamica…). Peccato che il doppiaggio italiano cancelli le differenze di lingua e cultura fra i protagonisti. Ma queste sono ingiustizie di casa nostra.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 19 giugno 2014)