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Utama – le terre dimenticate

registaA. Loayza Grisi
castJ. Calcina, L. Quispe, S. Choque
paeseFrancia
anno2022

Orari

UTAMA, nella lingua quechua: la nostra casa.

UTAMA – Le terre dimenticate. Il tempo sembra scorrere lentamente nella lontana terra incrinata e arida dell’Altiplano boliviano, dove un’anziana coppia quechua, Virginio e Sisa, porta avanti un’umile routine. Quando il nipote Clever si presenta alla loro porta, Virginio si accorge subito che è lì solo per convincerli a trasferirsi in città. Il fatto che la siccità li abbia lasciati senz’acqua non aiuta la loro causa a restare.

Il respiro pesante di Virginio tradisce la sua capacità di nascondere ciò che lo affligge e l’apparizione di un condor inizia a destare in lui uno strano presagio. Improvvisamente lo scorrere del tempo diventa più che mai prezioso e pone la coppia davanti a un dilemma: resistere nell’attesa delle piogge o seguire le orme di altri quechua e lasciare la loro casa per la città?

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UNA RIFLESSIONE SULLA GRADUALE DISTRUZIONE DELLA NATURA IN UN FILM PROFONDO E DI GRANDE IMPATTO VISIVO

Si vede quanto Alejandro Loayza Grisi, prima di debuttare alla regia di un film, abbia affinato l’occhio grazie ai documentari e, soprattutto, alla fotografia. Il suo sguardo, infatti, in una staticità che sfrutta la costanza per muoversi in avanti, racchiude il senso di un film che va elaborato e compreso un poco alla volta, dimenticandosi per un attimo dell’orologio. Ma non perché l’opera duri chissà quanto (appena 87 minuti), piuttosto perché Utama – Le terre dimenticate, è un film che fa del silenzio il protagonista principale. Un silenzio potente che si allarga verso i confini smisurati della Bolivia, consumata e inaridita da una crisi climatica che si fa sempre più feroce.

C’è tanta delicatezza nella regia di “Utama – Le terre dimenticate” e nei toni con cui racconta il lento addio alla vita del vecchio Virgilio.

É lentezza la parola chiave di questo film, che è un piccolo miracolo ai nostri tempi. La morte aleggia sul capo silenzioso di Virginio, che racconta al nipote la leggenda del condor che vola sulle montagne alte quando si sente mancare le forze, le stesse cime dove vanno gli abitanti del villaggio per far arrivare la pioggia.

Il film di Lojaza parla in modo estremamente poetico di cambiamento climatico, non a caso i paesaggi aridi ricordano molto quelli “Il sale della terra” del grande fotografo Sebastiao Salgado.

La colonna sonora stessa è il vento che soffia su quello che appare un deserto dall’alto insieme all’ansimare del vecchio Virginio. Tutto, anche la sua dipartita da questo mondo e dal suo corpo terreno, è all’insegna della natura rappresentata da una montagna di sassi, quelli che il vecchio regalava alla moglie.

“Utama – Le terre dimenticate” è un’opera da gustare lentamente. I protagonisti non sembrano neanche attori, per quanto sono veri con i loro visi induriti dal sole e gli abiti tradizionali. Non è la prima volta che i registi boliviani raccontano il loro paese e le tradizioni che rischiano di scomparire, e non c’è che dire, Lojaza ci riesce benissimo portando letteralmente lo spettatore in una dimensione quasi onirica alla Don Juan Matus di Castaneda con un volo d’aquila nel cielo azzurro.