Adattato liberamente da una pièce teatrale di Claudine Galéa (“Je reviens de loin”), Stringimi forte è la storia di “una donna che parte” o che sembra partire. La storia destrutturata di una sposa che custodisce un segreto ‘musicato’ a turno da Chopin, Debussy, Rameau, Ravel, Beethoven, Mozart, Rachmaninov.
La protagonista gioca a Memory con delle Polaroid sparpagliate sul letto. È a casa da sola, anzi no: è in un albergo di montagna. Poi, senza alcuna spiegazione né temporale né di altro tipo, ci viene fatto capire che la donna ha lasciato la sua famiglia composta da marito belloccio e simpatico e due figli: la maggiore studia il pianoforte, scale dopo scale, il piccolo è ancora piccolo e basta. Perché Clarisse ha abbandonato tutti, scappando all’alba dalla bella villa in cui vivono?
Lo capiremo solo lungo la strada. Difficile aggiungere altro senza fare spoiler che comprometterebbero l’intera costruzione narrativa, il vero gioco mentale a cui si viene sfidati dal regista Mathieu Amalric, al suo settimo film come regista.
Da attore di lungo corso ha imparato da quelli bravi, avendo lavorato con Arnaud Desplechin, Olivier Assayas, Julian Schnabel e Roman Polanski, tanto per citarne qualcuno. Al cinema ha fatto di tutto, compreso il cattivo nei film di James Bond. Sa come si fa. Qui non appare e si dedica a mettere in risalto il talento di Vicki Krieps (Il filo nascosto) in scena dalla prima inquadratura all’ultima, un vero tour de force che poche altre sarebbero in grado di sostenere, ha la grinta di una giovane Isabelle Huppert.
Senza Vicki il film non starebbe in piedi, si sbriciolerebbe sulle fragilità della sceneggiatura (che comunque ci sono). Ma la sua interpretazione riesce a portarci in parallelo dentro una storia di fantasmi e dentro un realistico attraversamento del dolore, un dolore così forte che sragiona.
Tratto da una pièce teatrale (Je reviens de loindi Claudine Galea), compensa i pochi dialoghi con immagini e musica sempre molto forti, come quando Clarisse, nell’immaginare il futuro della figlia pianista, la sovrappone a quel che ha appreso da un documentario su Martha Argerich visto per caso. Amalric, con un certo sprezzo del pericolo e del ridicolo, riesce a riprodurre l’incongruenza dei sogni.