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Parthenope

registaPaolo Sorrentino
castCeleste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Peppe Lanzetta, Isabella Ferrari, Silvia Degrandi, Lorenzo Gleijeses, Daniele Rienzo, Dario Aita, Marlon Joubert, Alfonso Santagata, Biagio Izzo, Nello Mascia, Francesca Romana Bergamo
paeseItalia
anno2024

Orari

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La vita di Parthenope dalla sua nascita negli anni Cinquanta ai giorni nostri. Un’epopea femminile priva di eroismo ma innamorata della libertà, di Napoli e dell’amore. Gli amori veri, indicibili o di breve durata, che ti condannano al dolore ma ti fanno ricominciare. L’estate perfetta a Capri per una giovinezza spensierata nonostante un orizzonte senza speranza. Intorno a Parthenope, i napoletani. Scrutati, amati, disillusi e pieni di vita, che seguiamo nelle loro derive malinconiche, nelle loro tragiche ironie e nei loro momenti di sconforto. La vita può essere molto lunga, memorabile o ordinaria. Lo scorrere del tempo offre l’intero repertorio dei sentimenti. E lì, sullo sfondo, vicina e lontana, questa città indefinibile, Napoli, che ammalia, incanta, urla, ride e può farci male.

PRESENTATA IN CONCORSO AL FESTIVAL DI CANNES 2024, L’ULTIMA OPERA DI PAOLO SORRENTINO È UN RITORNO AL LIRISMO CHE HA CONTRADDISTINTO I MOMENTI PIÙ POETICI DELLA SUA PRODUZIONE. UN’ODE ALLA SUA CITTÀ NATALE, NAPOLI, MA ANCHE ALLA GIOVINEZZA, A TUTTE LE STAGIONI DELLA VITA E ALLA SUA CADUCITÀ.

«Parthenope è una donna belissima, libera, spontanea, priva di pregiudizi. Il riflesso della città in cui sono cresciuto. (…) Io e Parthenope condividiamo la curiosità verso le altre persone, questo spirito antropologica, e abbiamo molto in comune. Nonostante i traumi dell’esistenza, lei non perde il suo interesse verso gli altri. Nasce in una condizione perfetta per essere libera e lotta per questo suo diritto» (Paolo Sorrentino)

«Il regista e sceneggiatore ritrova l’astrazione e la seduzione ammaliante della Grande bellezza, con tanto di esergo nuovamente affidato a Celine (“Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”), (…) oltre al contributo nuovamente decisivo di Daria D’Antonio alla fotografia (proprio come in È stata la mano di Dio), per un film continuamente sospeso tra la tensione al sublime e la caduta nel baratro, popolato di fantasmi malinconici» (Valerio Sammarco, Cinematografo)