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Le Meraviglie

castMaria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani, Monica Bellucci

GRAND PRIX AL 67. FESTIVAL DI CANNES (2014).

Il nuovo film di Alice Rohrwacher racconta l’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita, l’erede del piccolo e strano regno che suo padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui le regole che tengono insieme la famiglia si allentano: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, “il paese delle Meraviglie”, condotto dalla fata bianca Milly Catena.

Dopo il successo di Corpo celeste, presentato a Cannes nel 2011 (e poi anche in altri festival internazionali come Sundance, London, New York, Rio e Karlowy Vary), la regista fiorentina è tornata dietro la macchina da presa con una pellicola che affronta le contraddizioni legate all’abbandono della vita in campagna. Il film è ambientato in Toscana per l’esattezza a Sorano, in alcune zone della provincia di Grosseto e nella località senese Bagni San Filippo.

Director Alice Rohrwacher, Grand Prix award winner for her film "Le meraviglie", poses on stage with actress Sophia Loren during the closing ceremony of the 67th Cannes Film Festival in Cannes

“Raccontare l’Utopia, i suoi sogni e i suoi errori e fallimenti. E raccontarla quando non è più di moda, quando ti devi interrogare sul suo senso, sulle sue ragioni, sulle sue fatiche: ecco la scommessa – vinta, diciamolo subito – di Alice Rohrwacher e del suo ‘Le meraviglie’, unico film italiano in concorso a Cannes. Accolto dalla stampa alla prima proiezione tra applausi e qualche fischio. Un film «fragile», «indifeso», che si offre «nudo e senza trucchi» agli occhi dello spettatore (…) ma attraversato da una straordinaria fiducia nel cinema e nella sua capacità di saper mostrare e svelare le cose. Ambientato in un presente indistinto, forse un passato prossimo come farebbe pensare la canzone di Ambra che tanto piace a una delle bambine, il film racconta la vita quotidiana di una famiglia allargata che vive al confine tra Toscana e Lazio producendo miele. C’è un padre dalle evidenti origini tedesche (Sam Louvyck), una madre che dev’essere vissuta a lungo in Francia (Alba Rohrwacher), quattro figlie dove spicca la maggiore, Gelsomina (Maria Alexandra Lungu), e un’ospite, Coco (Sabine Timoteo), di cui non si capiranno mai bene i legami, ma che aiuta a sottolineare la realtà aperta e non chiusa di quella famiglia. Allevano api, coltivano la terra e cercano di barcamenarsi tra regole igieniche europee e fatica quotidiana, inseguendo un ideale di indipendenza economica e rifiuto del consumismo che rimanda ad altre stagioni e altre ideologie. Una vita sul filo di un difficile equilibrio, dove le convinzioni del padre spesso diventano imposizioni autoritarie, dove la sopportazione della madre non sempre significa comprensione e dove Gelsomina cerca di conciliare senso del dovere e sogni di fuga. A mettere in crisi quel mondo così residuale arriva il programma di una scalcinata televisione locale condotto dalla presentatrice Milly Catena (Monica Bellucci, bravissima) che promette «un sacco di soldi» al miglior produttore di prodotti alimentari locali. E che agli occhi di Gelsomina sembra fondere la speranza di un aiuto economico ma anche il sogno di una favola salvifica. Lo spunto narrativo poteva trasformarsi nell’ennesimo melodramma famigliare di ribellione e rabbia e invece Alice Rohrwacher (che firma da sola anche la sceneggiatura) sceglie una strada meno appariscente ma più profonda e vera. Ricordandosi della lezione di Rossellini (quello di ‘Europa ’51’, di ‘Viaggio in Italia’, del documentario sull’India) mette i suoi personaggi nella condizione di superare i limiti della finzione: la verità delle loro azioni non nasce dalle battute del dialogo o dalle trovate della sceneggiatura ma dalla capacità degli attori – tutti straordinari e straordinariamente diretti – di far proprie le motivazioni e le ragioni profonde dei personaggi per far nascere attraverso i corpi e i volti quello che poi la macchina da presa si incarica di selezionare e registrare. In questo modo lo spettatore è preso come per mano e portato dentro le situazioni (più che dentro la trama), capace di capire le esitazioni o gli slanci dei vari personaggi. L’angoscia di Gelsomina per non aver cambiato il bidone sotto la smielatrice mentre è bloccata in ospedale per una ferita della sorellina, il colpo di testa del padre che pensa di risolvere ogni cosa comprando il cammello che le sue figlie sognavano da piccole, il calore protettivo ma anche soffocante che i corpi stretti sotto una coperta possono offrire, sono alcuni dei momenti in cui ‘Le meraviglie’ (…) coglie la verità contraddittoria del reale. Senza per questo nascondere i limiti e le ambizioni dell’Utopia, un sogno che era giusto per i padri ma può diventare problematico per i figli. Ma di cui, come dice l’ultima battuta del film, bisognerà comunque conservare e nascondere un qualche componente segreto perché possa essere trasmesso anche alle generazioni successive.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 18 maggio 2014)

“Dopo tanti padri variamente assenti, prepotenti o impotenti, eccone finalmente uno che fa il suo mestiere e lo fa fino in fondo. Sbagliando anche parecchio, se serve. Si chiama Wolfgang e vive in una terra aspra e esigente fra Umbria, Toscana e Lazio. E’ tedesco ma ha una moglie italiana e quattro figlie che comanda a bacchetta. A casa loro infatti si lavora con le api, e con le api non si scherza. Così quel padre severo, sgraziato e un po’ paranoico, gettato lì da chissà quali naufragi, coltiva la sua piccola utopia fuori dal mondo. Ma quel casale sperduto è anche un fortino contro la modernità e le sue minacce. Una piccola Città del Sole e del miele. Un baluardo contro il cambiamento, ogni cambiamento. (…) Nato da schegge autobiografiche ma sviluppato con libertà, inventiva e una prepotente vena poetica, ‘Le meraviglie’ di Alice Rohrwacher è un piccolo miracolo di compattezza e coerenza. Tutto si tiene, non c’è una nota musicale, la musica la fanno le immagini o le ragazzine che cantano, ogni personaggio è motivato e disegnato alla perfezione, senza perder tempo e tensione. Dal padre (Sam Louwyck, ballerino) a Gelsomina (Maria Alexandra Lungu, prodigiosa), dalla madre sempre in crisi, perché Wolfgang è anche un mostro di egoismo (Alba Rohrwacher, sorella di Alice) a quel piccolo disadattato spedito a casa loro per essere ‘rieducato’ (Luis Huilca Logroño). Un esserino spaurito e più selvaggio di loro, che non parla ma fischia come gli uccelli, e accelererà il mutamento generale… Senza dimenticare Monica Bellucci, mai così intonata (e ironica) nei panni dell’affascinante starlet che conduce il programma tv. Tutto infatti è visto con gli occhi di Gelsomina, è lei la prima che prova (e provoca) le meraviglie del titolo. Ed è suo, dunque nostro, lo sguardo della regista, che evita moralismi e scorciatoie per portarci in quel mondo duro e incantato, fragile e orgoglioso. Come il padre-orso che lo difende. E a suo modo vince, anche se questa vittoria implica il tradimento e forse la fine di quel mondo. Insomma una bella conferma e un punto a favore per Cannes, che aveva tenuto a battesimo la Rohrwacher con ‘Corpo celeste’.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 18 maggio 2014)

“Narra di un piccolo mondo fuori dal mondo, il bellissimo film di Alice Rohrwacher, un piccolo spazio di terra al confine fra tre regioni, due epoche, tra un sogno e una sconfitta. È un luogo, questo campo dell’antica Etruria, dove una famiglia ripara respinta dalla delusione, dalla rabbia, dalla carestia di opportunità delle città in cui i genitori sono cresciuti, hanno studiato. Il padre è tedesco, la madre italiana con lui parla francese, si indovinano giovinezze di falò e illusioni nomadi. Fallimenti mascherati da scelte. Il ritorno alla terra e alle cose che si fanno con le mani, tornare indietro per andare avanti. Wolfang, il padre, fa l’apicoltore. Brusco, lo sguardo fisso all’ideale di libertà in cui i soldi non servono noi non apparteniamo a nessuno e bastiamo a noi stessi. Ha quattro figlie femmine che chiama le mie principesse. Gelsomina, la maggiore, prende al suo fianco il posto del maschio non nato. La madre Angelica, Alba Rohrwacher, tiene insieme i giorni in un equilibrio di fatica e di pazienza, vede meglio e più lontano, sopporta l’amore rigido di lui, il suo estremismo: il padre, in fondo, vuole proteggere le figlie dalla violenza avvelenata della vita fuori. È la sua guerra, la moglie aspetta ogni sera il ritorno dal campo di battaglia con lo sguardo delle donne nei libri d’epica. Vivono con un’ospite fissa, tedesca, anche lei reduce da qualche bohème. Le bambine vorrebbero vestiti e fermagli per capelli, lui regala loro un cammello. Passano la vita negli scafandri in mezzo alle api, Gelsomina è bravissima, di quel tremendo ronzio capisce le parole. Lavorano in condizioni estreme, di pochezza e pericolo. (…) Lo sguardo di Alice Rohrwacher è fermo, sensibile a ogni refolo di vento, puro e tagliente. Come già in ‘Corpo celeste’, ha gli occhi sgranati e severi di una bambina adulta. La storia è anche la sua, e della sorella Alba. Bravissime le bambine, protagoniste e vittime dell’utopia di creare un mondo autoimmune fuori dal mondo. Una famiglia diversa da tutte, come tutte.” (Concita De Gregorio, ‘La Repubblica’, 18 maggio 2014)

“La famiglia, nonostante tutto. «Proprio quella che nel Sessantotto tanto volevano spaccare, ora è la loro arca di Noé, è il loro unico riparo. Loro sono una famiglia». Parole di Alice Rohrwacher che sull’ultimo numero de ‘Lo straniero’ ha raccontato il suo film, ‘Le meraviglie’, in competizione (…) a Cannes. Sulla Croisette due anni fa con la sua opera prima alla Quinzaine, ‘Corpo celeste’, Alice è balzata a sorpresa nella sezione più prestigiosa della kermesse con un film capace di affrontare con intelligenza, sensibilità e maturità temi cruciali per l’uomo di oggi, come i legami familiari, appunto, il territorio, il mutamento del paesaggio agricolo, la tradizione. Coraggiosamente prodotto da Carlo Cresto-Dina, Karl Baumgarten, Tiziana Soudani e Michael Weber (…). Meno purezza e meno ideali vorrebbe forse Gelsomina, la protagonista (Maria Alexandra Lungu), una ragazzina, la prima di quattro sorelle che vivono di ciò che producono in un casale di campagna con la madre italiana (interpretata da una dolcissima Alba Rohrwacher, diretta per la prima volta da sua sorella), il padre tedesco, apicoltore (Sam Louwych), e un’amica (Sabine Timoteo). Non sono dei veri contadini, ma hanno tagliato i ponti con la città, e non sono degli hippies perché si spaccano la schiena dalla mattina alla sera. Sono una famiglia dove i genitori cercano di proteggere le quattro figlie da una probabile ‘fine del mondo’ e l’unica strada è restare uniti. (…) A volte le figlie restano sopraffatte dalla rigidità del padre, talora la madre si ribella alla durezza di un uomo testardo nel conciliare i suoi ideali con una realtà che spinge in direzione opposta. Ma poi ci si ritrova tutti in un lettone che è come una scialuppa di salvataggio. Le speciali regole familiari saltano con l’arrivo di un turbolento ragazzino tedesco affidato ai genitori di Gelsomina perché venga rieducato in un ambiente sano e con quello di una fata della tv (Monica Bellucci) che tra le campagne porta un gioco a premi destinato a risolvere molti problemi economici del vincitore. E così le meraviglie del piccolo schermo si sovrappongono a quelle vissute e sognate fino a quel momento: la natura, le api, un cammello. Alice Rohrwacher racconta tutto questo con forza e semplicità al tempo stesso. Le bastano una manciata di minuti per trascinarci nelle vicende di quella famiglia, che assomiglia alla sua, e per cominciare a raccontarci del passato e del futuro di un Paese, osservandolo e interrogandolo come pochi in Italia sanno fare.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 18 maggio 2014)

“Meraviglioso di fatto, ma in lizza perla Palma d’Oro c’è un (…) film che lo è già nel nome: ‘Le meraviglie’. Sì, è italiano, opera seconda di Alice Rohrwacher, classe 1981, ‘Corpo celeste’ – presentato con successo qui tre anni fa – (…) per lusinghiero biglietto da visita. Qui va oltre, si supera mantenendo fede a se stessa, al desiderio di non appiattirsi sulla realtà – anche la sua autobiografia – ma di amarla, analizzarla e comprenderla a tal punto da poterne fare fiaba, immaginazione al potere. La declinazione è ancora femminile, la protagonista è Gelsomina (Maria Alexandra Lungu, brava), 12 anni e il ruolo di capofamiglia: altre tre sorelle, cui bada con piglio, una madre (Alba Rohrwacher, sorella di Alice) e un padre, lo straniero Wolfgang (Sam Louwyck). Vivono nel mondo, ma non sono del nostro mondo: il loro è un universo privato fatto di regole autoctone, autarchia strappata alle api, tra alveari e smielatura. Wolfgang è burbero, senza se e senza ma: Gelsomina è l’erede al trono, ma fosse maschio sarebbe meglio. Eppure, lei cancella le differenze di genere: c’è sempre, lavora come un mulo. La crepa del loro microcosmo in bolletta è spettacolare, nel senso di televisivo: un concorso trash sugli Etruschi, dove la famiglia più ‘genuina’ vince un bel premio. A condurre il programma è una fata bianca, Milly Catena (Monica Bellucci), che per Gelsomina ha subito un’attenzione speciale: lei vorrebbe partecipare, ma Wolfgang non ci sente, di problemi ne ha già tanti. (…) siamo dalle parti di ‘Reality’ di Garrone, anche qui la chimera televisiva infrange altri sogni, e toglie la parola a chi il nostro mondo lo sente alla fine. La Rohrwacher racconta la resistenza strenua fino all’ottusità di un luogo umano tra tanti non luoghi para-televisivi: la fata è Gelsomina, l’altra ha la parrucca e il sorriso gentile e compiacente della rassegnazione. Il conflitto è sempre quello, realtà contro reality: solo nella prima c’è spazio per l’immaginazione, che sia il diavolo flou del ‘gemello’ ‘Post tenebras lux’ del messicano Reygadas o lo stupore del fanciullino Gelsomina. E c’è un cammello: chissà che non porti bene come i fenicotteri e la giraffa de ‘La grande bellezza’. La Rohrwacher continua a rifuggire il manicheismo: le fricchettone (la ‘ragazza’ alla pari della famiglia) hanno i desideri pesanti, i padri spadroneggiano pro bono, la felicità e il fallimento non hanno stacchi di montaggio. Cannes o non Cannes, ecco un’autrice.” (Federico Pontiggia, ‘Il Fatto Quotidiano’, 18 maggio 2014)

“(…) il (…) film è così, bello, pieno di energia, e senza trucchi che non vuol dire ‘naif’; piuttosto è una dichiarazione di libertà narrativa, visuale, di invenzione, lontana dalle mode e dagli ammiccamenti. Come una maga scanzonata Alice Rohrwacher mischia qualcosa di sé, delle persone che ha incontrato, le trasforma in narrazione e ci porta dentro a un mondo, il suo mondo, facendoci condividere le sue avventure. Noi possiamo scegliere se entrarvi e scoprirne l’incanto. La meraviglia. La protagonista è Gelsomina, splendida Alexandra Lungu – ma tutti gli attori nel film sono accordati con speciale armonia, un talento che la regista aveva mostrato già nel film d’esordio, ‘Corpo celeste’ (…). Ha dodici anni, e vive in campagna, la sua famiglia appare un po’ strana, sono isolati, non guardano la televisione. Il padre tedesco che alleva api, la mamma che parla francese (dolcissima Alba Rohrwacher), la sorella Marinella, le piccoline, due minuscole «teppiste» indipendenti da tutti, e Coco che aiuta nel lavoro con le pecore e l’orto. (…) Sono loro ‘Le meraviglie’ che danno il titolo al film? (…) No, ‘Le meraviglie’ sono un programma televisivo dove una fata tutta bianca e con lo sguardo triste (Monica Bellucci) deve premiare salsicce e formaggi prodotti nella zona. Tutti vogliono partecipare sperando di vincere i soldi in premio, di farsi un po’ di pubblicità, e soprattutto che la televisione riveli quell’angolo di mondo, ancora invisibile sulle rive del lago, richiamando turisti, e guadagno. La terra è faticosa, e di ricchezza ne dà poca, meglio aprire un B&B. E’ dunque un cambiamento che racconta Alice Rohrwacher, la trasformazione di un paesaggio, di un luogo, che è al tempo stesso quella delle persone che lo abitano, dei loro pensieri e sentimenti, delle loro relazioni e consapevolezze. E’ una storia d’amore, tra Gelsomina e il padre fatta di complicità e sterzate brusche, legami profondi e ricatti affettivi come solo il rapporto con un genitore può essere. Alice Rohrwacher riesce a coglierne le direzioni impreviste, e senza mai abbandonare la molteplicità sposta il racconto nell’orizzonte della protagonista, e un po’ come accadeva in ‘Corpo celeste’, la sua scoperta di sé diventa quella del mondo. E’ una scoperta condotta con delicatezza, un romanzo di formazione che avviene sui margini dell’inquadratura lungo i quali la famiglia, e anche l’amato padre si trasformano pian piano in un «altrove». Di scontro e con la confusione dei sentimenti che appartiene all’adolescenza, quel bisogno di sentirsi come qualcuno, il «fuori», le amiche che si vestono da fata e partecipano al programma televisivo mentre il padre non vuole e la ragazzina insiste sino a sfidarlo. Gelsomina è il capo di questa famiglia, a lei devono obbedire le sorelline, specie Marinella che un po’ l’ammira e molto la subisce. Da loro non ci sono porte, la vita si condivide e a volte dormono tutti insieme nel grande letto che il padre porta in giardino. Gelsomina con lui cura le api, è brava e non ha paura. Il padre l’adora, ha anche proiettato su di lei il suo desiderio di un figlio maschio, ma questa esclusività non ammette intrusioni. (…). È la realtà dell’Italia di oggi di cui ci parla ‘Le meraviglie’? Quella della tv, e del «prodotto tipico» in cui si è trasformato il nostro paese e il consumo del mondo? O forse in un personaggio, e negli altri, prende forma una Storia più ampia, che gli occhi della ragazzina, come quelli della regista, ci svelano come in un caleidoscopio. Non è infatti quello di Alice Rohrwacher un fare-cinema che impone dall’alto una visione del mondo. Ce ne porge spunti, frammenti che dobbiamo ricomporre, da cui la sua forza la venta. E come lo sguardo di Gelsomina sa andare oltre le apparenze, e rivela ciò che è invisibile. Gelsomina saprà vedere che la sua fata è piena di malinconia, e spente le luci della televisione non rimane nulla della meraviglia che l’aveva incantata. E suo padre dispotico si rivela all’improvviso fragile, col peso – o il vuoto – di una Storia che rimane fuoricampo, di utopie perdute o mai realizzate che difende con l’ostinazione che diventa paura, e esclusione del mondo. Non ha più armi né parole proprio come il contadino pronto a cedere tutto, che dal mondo si fa invadere. Nella sua caverna di Platone (o del cinema), dà spazio libero del pensiero come è, deve essere l’immaginario, Gelsomina imparerà che l’incontro con l’altro, è scoperta, ricchezza, quando il mondo ti entra dentro e ti trasforma senza toglierti le cose preziose della tua storia. Le sue api e quel fischio che ora anche lei sa fare, pieno di gioia, e promessa amorosa di un «altro» mondo che è ancora possibile inventare.” (Cristina Piccino, ‘Il Manifesto’, 18 maggio 2014)

“Nell’ultima scena di ‘Le meraviglie’ (…) il casale di campagna dove vive la famiglia di Gelsomina si rivela abbandonato. La macchina da presa si sofferma sulle stanze vuote, sui muri diroccati. Nessuno vive più qui da molto tempo. Un mondo, una cultura sono scomparsi. ‘Il mondo sta finendo’, dice sempre Wolfgang, il papà tedesco di Gelsomina: la profezia si è forse avverata? Ciò che abbiamo visto lungo tutto il film (…) era solo un ricordo? Dalla fine, torniamo all’inizio. Lo schermo è buio, di quel buio a cui noi cittadini non siamo più abituati: quelle notti senza luna in campagna, quando davvero non si vede un accidente e il mondo sembra vuoto. Delle luci squarciano l’oscurità: fanali di macchine su un viottolo di campagna. Si fermano, scendono uomini con cani al guinzaglio. Sono cacciatori: in campagna, per andare a caccia, ci si sveglia prima dell’alba. Le luci scoprono, nel buio, un casale: lo stesso dell’inizio. In una scena che ha qualcosa di magico e di arcaico, le stesse luci entrano nelle stanze, illuminano fugacemente i bambini che dormono. È come se la modernità fosse appena atterrata su un pianeta che si credeva disabitato. Invece c’è vita. Gli «alieni» con i quali entriamo in contatto sono, appunto, Gelsomina e i suoi familiari. Le meraviglie è la loro storia. Alice Rohrwacher e sua sorella Alba, che nel film interpreta la mamma delle quattro bimbe, sono cresciute così, in campagna. Hanno visto per la prima volta la televisione quando erano già adolescenti. ‘Le meraviglie’ è un film sospeso in una bolla del tempo. Attenzione: non è ‘L’albero degli zoccoli’ né ‘Il pianeta azzurro’, non è un rimpianto della civiltà contadina pre-industriale né un canto lirico sulla bellezza della natura. Di natura ce n’è tanta, nel film, ma non sempre è bella e comunque è modificata dal lavoro umano. L’apicoltura è un lavoro invasivo, gli insetti vanno trattenuti nelle arnie artificiali per poter raccogliere il miele. Quando uno sciame «evade», e si fa un alveare per conto proprio, bisogna andarlo a riprendere e riportarlo, per così dire, a casa: è una scena in cui il film diventa, per un momento, un thriller, perché recuperare qualche milione di api con le mani e costringerle a rientrare nelle arnie non è uno scherzo. Infatti l’uomo e le bimbe sono sempre pieni di punture, e Gelsomina è quella che riesce a togliere i pungiglioni dalla schiena di papà senza fargli male. Lei, con le api, ci sa fare: le tiene in bocca e le fa uscire facendosele camminare sul viso, sembra una magia, è solo confidenza. (…) Alice Rohrwacher sembra parlare, nel film, di cose semplici: in realtà ci sta fornendo una chiave di lettura del nostro mondo. Non solo ci siamo staccati dalla natura, ma anche da un’architettura mentale che ci permetteva di leggere la natura e trasformarla in cultura. È finita l’agricoltura antica, ma sono finite anche le ideologie: restano solo mura vuote, dove la televisione ha vinto. Gelsomina è il trait d’union fra due epoche: lei, da brava adolescente, guarda le tv locali ed è appassionata di un programma condotto da una bellona vestita da fata, tale Milly Catena (Monica Bellucci, mai così in parte). È un gioco a premi, una ‘Linea verde’ ante litteram, e partecipando la famigliola potrebbe vincere i soldi necessari a rimodernare il casale. Ma per Wolfgang la tv è il demonio. (…) ‘Le meraviglie’ è fatto di piccole cose: dei rapporti quotidiani fra sorelle (fantastiche le tre piccole che fanno da coro a Maria Alexandra Lungu, bravissima nel ruolo di Gelsomina), della burbera umanità di Wolfgang (Sam Louwyck), della forza trattenuta di Alba Rohrwacher. Ma è un grande film, che ricorda non solo Olmi, ma altri grandi «paesaggisti» del cinema come Tarkovskij, Dovzenko, Malick. Il tutto con l’energia di una giovane regista di oggi, che ricorda il passato ma è proiettata nel futuro. Jane Campion, qualche giorno fa, ha rivendicato con vigore l’esistenza di uno sguardo femminile nel cinema: lei, unica donna ad aver vinto la Palma d’oro con ‘Lezioni di piano’, sarebbe felicissima di premiare una giovane sorella. Facciamo tutti gli scongiuri del caso, ma ‘Le meraviglie’ – con questa presidente di giuria – è un film da Palma.” (‘L’Unità’, 18 maggio 2014)

“Un solo film in concorso, ma è forte, originale, convincente. Partecipiamo al festival di Cannes 67 con una mosca bianca o, visto il tema, con un’ape rossa. Diverso da ogni cosa girata nell’ultimo decennio di alti e bassi della nostra cinecittà, accolto (…) con applausi e vero interesse alla proiezione della stampa, ‘Le meraviglie’ di Alice Rohrwacher ha qualità alte e anche una certa dose di fortuna: nella regia, nel cast, nello sguardo il film è femmina, come il presidente della giuria Jane Campion, che non ama le quote rosa, ma sa come guidare una giuria a considerare una sensibilità diversa, nuova, tra i veterani del concorso, da Cronenberg a Godard, Loach, Leigh, i Dardenne e così via, tutti maschi. E poi c’è la giovinezza. Esordiente due anni fa con l’ottimo ‘Corpo celeste’, a 33 anni Alice compete al festival più importante del mondo. Dopo la bellezza puntiamo sulla meraviglia. (…). Poco convinte le ragazzine, equilibrista la mamma, duro, un po’ ossessivo lui. Nella dedizione ferrea, un po’ bizzarra, di questa azienda familiare (conservazione delle arnie, fabbricazione del miele, vendita al mercato, svaghi pochi), raccontata nel punto di vista prima sottomesso, poi ribelle, della figlia adolescente Gelsomina, irrompono due eventi: il concorso a premi per la miglior azienda naturale indetto dal programma ‘Il paese delle meraviglie’ di una tv locale, e l’affidamento di Martin, delinquentello a rischio riformatorio attratto da Gelsomina. Le due tentazioni, il denaro e l’amore, si combinano nel finale, nelle grotte etrusche che, invenzione geniale, ospitano il set del premio tv con una suadente Monica Bellucci, fata dai capelli ‘come la schiuma del mare’ (la malia dello spettacolo, che ricorda ‘lo sceicco bianco’ di Sordi). Non diciamo chi vince, ma è l’occasione in cui il padre, sconsolato, avverte che ‘non si può comprare tutto, il mondo sta per finire’. La forza onirica, ancestrale, di queste grotte, delle loro ombre e delle voci antiche, passa nella fotografia di Hélène Lovart come il cuore magico del film. Come ogni poeta, Alice non si preoccupa del politico, si occupa delle sue immagini, raggiunte sempre con uno stile motivato che richiama Bellocchio e Bertolucci, Monicelli e Fellini: il lavoro con le api, la scoperta del set tv tra le fonti termali, il cammello anelato da Wolfgang che vaga straniante nell’orto, le due api che escono dalla bocca di Gelsomina come prova di coraggio al concorso tv. A questo film di Alice Rohrwacher corrisponde in fondo un sentimento del tempo, quel sentimento che attraversa, filo invisibile, la nostra storia come un legame biologico indissolubile con le origini, un sentimento sempre vivo ‘sotto traccia’, anche se lo evitiamo. E’ un film che potrebbe sollecitare l’intervento di grandi studiosi del destino della Storia nell’era della tecnica, come Emanuele Severino. Ma dovrebbe attirare anche i coltivatori diretti. E gli apicultori. Forse persino le api…” (Silvio Danese, ‘Nazione – Carlino – Giorno’, 18 maggio 2014)

“Roba da matti. Questo filmino della sorella d’arte Alice Rohrwacher ha ricevuto a Cannes undici minuti di applausi. E dire che undici minuti di fischi sarebbero stati pochi. Perché la storia, ambientata in Etruria, di una famiglia di apicultori è di una noia sensazionale, oltre che zeppa di incongruenze. Forse c’è lo zampino del cammello che sbuca nel finale.” (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 22 maggio 2014)