Buio e luce. I vicoli notturni illuminati appena dalla fioca luce di un fanale. I bistrot fumosi. Il Maigret di Patrice Leconte ha tratti contrastati, quasi espressionisti. E un andamento “lento” quanto incalzante. È un magnifico piccolo shock visivo all’epoca dell’ipercromatismo e del montaggio frenetico. Il protagonista Gerard Depardieu è semplicemente perfetto.
La pipa incessantemente accesa. Il cappello. Il cappotto con il collo di velluto. E poi il Calvados consumato nei bistrot. Il pollo al vino. La corporatura massiccia e la massiccia convinzione che ogni buon poliziotto, per fare bene il proprio mestiere, deve «comprendere e non giudicare»…
Siamo assolutamente certi che non servano altri indizi per capire che stiamo parlando di uno dei personaggi più mitici di tutta la letteratura moderna: il commissario Maigret.
Settantacinque sono i romanzi che lo vedono protagonista, firmati tra il 1930 e il 1972 da Georges Simenon, ma anche il cinema e la tivù gli hanno reso onore (pensiamo alle memorabili Inchieste di Gino Cervi). Proprio il cinema, adesso, riporta Maigret sotto i riflettori, dedicandogli l’omonimo film di Patrice Leconte interpretato da Depardieu e ispirato a Maigret e la giovane morta.
Il commissario Maigret indaga sulla morte di una giovane ragazza. Non c’è niente che la identifichi, nessuno sembra conoscerla o ricordarla. Durante le indagini il commissario incontra una delinquente, che somiglia stranamente alla vittima, e risveglia in lui il ricordo di un’altra scomparsa, più antica e più intima… Riuscirà Maigret a risolvere l’intricato caso?