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L’Altro Volto della Speranza

castSherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Nuppu Koivu, Kaija Pakarinen, Niroz Haji, Simon Hussein Al- Bazoon

ORSO D’ARGENTO FESTIVAL DI BERLINO

Aki Kaurismäki ci racconta il bizzarro incontro tra Khaled, un giovane rifugiato siriano, che quasi per caso si ritrova a Helsinki come passeggero clandestino su una carboniera, e Wilkström, rappresentante di camicie, che lascia moglie e lavoro per darsi alla gestione di un’insolito ristorante: La Pinta Dorata.
Quando le autorità decidono di rispedire Khaled alle rovine di Aleppo, lui decide di rimanere illegalmente ad Helsinki. Lì incontra, oltre a vari tipi di razzismo, anche pura bontà. Nel momento in cui Wilkström trova Khaled addormentato nel cortile del suo ristorante, forse riconosce nel ragazzo qualcosa di sé e dopo uno scontro iniziale decide di assumerlo come lavapiatti e di aiutarlo a ritrovare la sorella persa tra un confine e l’altro dell’Europa. Nel nuovo film di Aki Kaurismaki, ancora più che nel precedente Miracolo a Le Havre, lo scontro tra cronaca e fiaba emoziona e fa riflettere.
Una commedia surreale intrecciata ad un dramma realistico ci regala un film di puro umanesimo.

CRITICA
“(…) a proposito di risate già questo film ne offre una bella dose, pur non essendo una commedia. Piuttosto è una specie di tragedia continuamente trattenuta, dove i drammi sembrano sempre sul punto di esplodere ma finiscono sul più bello per aprirsi alla speranza. Proprio come nelle favole, di cui Kaurismäki è diventato il vero creatore cinematografico. (…) Ridotta (…) all’osso la trama sembra solo un canovaccio, ma è lì che il regista (che come sempre firma da solo anche la sceneggiatura) innesta le sue gag, le sue riflessioni e le sue speranze. Ai suoi fan regala un’apparizione di Kati Outinen, protagonista di tanti suoi capolavori. In partenza per Città del Messico (…), a tutti gli altri offre l’occasione di riflettere sulle condizioni degli immigrati, sulle violenze dei razzisti (ce ne sono anche nel film), sulla generosità dei poveri e degli emarginati con un cinema politico che rifugge da tutti i luoghi comuni del genere. Non c’è mai una predica nei film di Kaurismäki, una tirata moralista o il rischio del manicheismo. C’è solo uno sguardo sorprendentemente illuminante, capace di aiutare lo spettatore a vedere come le cose possono essere modificate con un sorriso, una risata un po’ malinconica o l’improvvisa irruzione di un colpo d’ala surreale. C’è la poesia di un autore che continua a possedere il segreto di una grazia contagiosa, quella di un cinema capace di raccontare la realtà senza abdicare ai sogni.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 15 febbraio 2017)

“L’ultimo erede di Charlie Chaplin, e probabilmente l’unico, è nato in Finlandia, si chiama Aki Kaurismäki e fa un film ogni 2-3 anni, ma ogni volta cattura un pezzetto del nostro presente in forma di fiaba comica, proprio come l’immenso Charlot, anche quando maneggia temi tragici. Al centro dell’applauditissimo ‘The Other Side of Hope’, altro titolo da premio, ci sono infatti due personaggi che si incrociano solo a metà film. (…) Kaurismäki è un campione assoluto di economia narrativa: luci, gesti, inquadrature, espressioni, tutto è sempre misuratissimo e insieme irresistibile (…). Sappiamo subito che questi due tipi strambi, il marito in fuga e il migrante arrivato col carbone, faranno un pezzo di strada insieme, anche se perché si incontrino dando vita a una di quelle piccole e utopiche comunità di marginali che sono la specialità di Aki (…) Khaled, sempre grazie alla strepitosa economia espressiva di Kaurismäki, tra una peripezia e l’altra ci ricorda con quanta dignità un uomo può evocare il destino tragico di migliaia e migliaia di altri profughi senza mai sfiorare il patetico o il ricattatorio. È qui che il grande regista finlandese è davvero a suo modo chapliniano. Il lungo dialogo in cui Khaled racconta cosa è successo alla sua famiglia ad Aleppo senza muovere un muscolo di troppo, non è solo una lezione di cine-morale. È un modo per rimettere ordine nel caos quotidiano che ci anestetizza. Restituendo un volto, uno sguardo, un senso a parole ormai logorate e astratte come Migranti, Guerra, Libertà. Proprio come faceva Chaplin, anche se Kaurismäki non racconta l’esplosiva nascita della modernità ma la sua lenta, tragica fine. Che ci restituisce con timing implacabile e insieme infallibile, ma senza mai perdere una segreta speranza.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 15 febbraio 2017)

“Quando sembra che non ci si possa più proteggere dallo spettacolo degli orrori del mondo, quando le immagini di violenza, sopraffazione, dolore ci sovrastano attraverso media e social network, quando proteste e denunce hanno la stessa potenza di armi scariche, allora è il momento di vedere un film di Aki Kaurismäki. Non perché il regista finlandese scelga un cinema di puro intrattenimento, al contrario. Kaurismäki non ha mai smesso di dialogare con il mondo esterno, ma ha scelto di raccontare ingiustizie e misfatti a modo suo, con leggerezza e poesia, senza accuse, polemiche, rabbia e facili giudizi, sempre attento a una umanità fragile, ma capace di mettersi all’ascolto dell’altro, di comprendere, di accettare e amare. Molti connazionali detestano il regista per come si vedono rappresentati nei suoi film, ma il pubblico internazionale lo ama e i festival lo inseguono, come la Berlinale che ha infatti scelto il suo ‘The Other Side of Hope’ (L’altra faccia della speranza) per la competizione. E gli spettatori, addetti ai lavori compresi, lo hanno accolto con un entusiasmo finora riservato a nessun altro titolo. (…) anche con questo film si ride, e moltissimo. La vicenda, costellata di canzoni blues e rock, ruota intorno a un incontro destinato a cambiare la vita di un gruppo di persone, stralunate e laconiche come tutti i paradossali e impassibili personaggi di Kaurismäki.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 15 febbraio 2017)

“‘The Other Side of Hope’ (…) è una scommessa che sulla carta era rischiosissima. Cos’avreste commentato (…) se vi avessero detto papale papale: Aki Kaurismäki fa un film sui rifugiati siriani? Perché questo è ‘The Other Side of Hope’! Il regista finlandese ha già parlato altre volte di ‘temi sociali’, di quella cosa misteriosa che chiamiamo ‘attualità’; anche in ‘Miracolo a Le Havre’ c’erano dei migranti, ma l’attenzione al ‘sociale’ era sullo sfondo. Qui, invece, è in primissimo piano, al punto di girare metà film in centri di accoglienza e stazioni della polizia. Kaurismäki prende il tema, elegge a coprotagonista un rifugiato siriano ma lo racconta esattamente con i suoi toni, con il suo stile: le scene in cui quest’uomo deve confrontarsi con la burocrazia finnica sono terribilmente realistiche e al tempo stesso sono puro Kaurismäki, perché Kaurismäki è il cineasta che più si avvicina a Kafka nel descrivere i meccanismi della vita con un tono al tempo stesso surreale, ironico e terribilmente concreto. Poi, l’idea geniale: per mezz’ora l’odissea del siriano è raccontata in parallelo a un’altra odissea, quella di un signore benestante che molla la moglie, taglia i ponti con il passato, si guadagna un po’ di contanti in una partita a carte che vale l’Altman di ‘California Poker’ (e pensateci un attimo: chi ha più ‘poker face’ dei personaggi di Kaurismäki?) e infine acquista un ristorante dove lavorano altri tre o quattro scoppiati. A un certo punto il siriano arriva al ristorante, e le due storie si uniscono. Prendere il tema dei temi, in questa nostra Europa, e farne un film tenero, buffo, triste e personalissimo è cosa che può riuscire a pochissimi. Aki è uno di quei pochissimi.” (Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 15 febbraio 2017)

“‘The Other Side of Hope’ (…) ritorna sulla relazione che era già al centro del precedente ‘Miracolo a Le Havre’, quella cioè tra l’Europa e i migranti che arrivano qui costretti a fuggire dolorosi vissuti di guerra, miseria, violenza. E lo fa nello stile di Kaurismäki, in quell’oscillazione che già il titolo sembra suggerire tra il mondo come è e come lo vorremmo, il «suo» mondo di regista in cui l’utopia, il fiabesco mettono a nudo con precisione i paradossi della realtà – che è poi la forza del cinema, la sua potenza politica e di consapevolezza. È in questa «distanza» che Kaurismäki negli anni ha inventato una Finlandia fuori dal tempo, un paesaggio interiore popolato da figure stralunate, buffi sognatori, giocatori di azzardo, musicisti rock e folk al centro delle sue inquadrature limpide che arrivano all’essenza delle cose . (…) ‘The Other Side of Hope’ è finora il film più bello visto nel concorso berlinese, e senz’altro la scommessa ancora una volta vinta che si può parlare del presente senza cadere nei luoghi comuni e soprattutto senza mettere da parte il cinema. Kaurismäki sa magnificamente guardare il nostro tempo continuando a inventare un’immagine che anche nel confronto con un tema di «attualità» sorprende lo sguardo lievitando nel suo tocco sempre esilarante. Senza retorica da «buone coscienze», la sua poetica cattura i paradossi del presente con umorismo, comicità, sentimento. Non ci sono tante spiegazioni se non che da qualche parte esistono delle persone che si aiutano come possono. Sono scelte piccole, prive di enfasi, che pure diventano gesti di grande rottura rispetto all’indifferenza, alle assurdità di leggi, confini, trattati politici, interessi dei potenti. Lì, nella sala scassata del ristorante La pinta d’oro una rete di «solidarietà» diventa possibile, anche se questo non significa che tutto il male sparisca. È un primo gesto, qualcosa da cui ripartire: l’altro lato di una speranza che è quasi come una rivoluzione.” (Cristina Piccino, ‘Il Manifesto’, 15 febbraio 2017)

“E’ sempre il mondo della modernità morbidamente disintegrata di Aki Kaurismäki: persone solidali di un perduto umanesimo, una vecchia limousine nera e una radio anni ’50, colori pop tenui in interni freddi, facce d’altri tempi e ironiche bische, tra truci naziskin, smartphone, grattacieli, auto e una quotidiana, finnica malinconia nella quotidiana universale corruttela spiccia. (…) Titolo: ‘L’altra faccia della speranza’. Film politico, di poesia e ironia nell’impasto attualizzato di Capra e Chaplin, sorta di dittico con l’altro titolo portuale ‘Le Havre ‘, è il più esposto sull’Europa di oggi secondo Kaurismäki (…).” (Silvio Danese, ‘Nazione-Carlino-Giorno’, 15 febbraio 2017)