image/svg+xml

La signora della porta accanto (la femme d’a’ cote’)

registaFrançois Truffaut
castGérard Depardieu, Fanny Ardant, Henri Garcin, Michèle Baumgartner, Roger Van Hool, Véronique Silver, Philippe Morier Genoud, Nicole Vauthier, Muriel Combe, Olivier Becquaert, Catherine Crassac, Jacques Preisach, Roland Thénot
paeseFrancia
anno1981

Orari

Bernard Coudray vive tranquillamente con la famiglia in campagna, vicino a Grenoble, in Francia. A rompere l’equilibrio, l’arrivo di Mathilde Bauchard, nuova vicina di casa insieme al marito. Un postino ha una lettera tra le mani. Chiede ai frequentatori di in circolo di tennis dove sia la signora Jouve. La lettera comincia la sua danza incerta, fino a trovare le mani della signora che ne legge il contenuto. Per un attimo resta sconvolta. Poi se ne va, appoggiandosi alla stampella che sorregge la sua gamba malandata.

VERSIONE ORIGINALE FRANCESE CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO

Restaurato in 4K da MK2 presso il laboratorio Hiventy, con il sostegno di CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée e ARTE France. Restauro supervisionato dalla direttrice della fotografia Caroline Champetier AFC


Mathilde, dal nome stendhaliano, ritrova sette anni dopo l’uomo che aveva amato fin quasi a soccombere: entrambi vivono in belle case vicine, dentro simili vite serene, eppure l’incontro sarà fatale. “Spero che il pubblico non prenda parte, che li ami entrambi come li amo io”: ma come sempre per Truffaut, anche questa è la storia di uno squilibrio passionale, e pur nella tragedia che accomuna, la disfatta (amorosa) è della donna. Frasi che nessuno ha dimenticato: “Le canzonette dicono la verità, e più sono stupide più dicono la verità”, e
“Né con te, né senza di te”.


Ed è proprio “Né con te, né senza di te” – sentenza ambigua, paradossale, perfetta – che sigilla il penultimo capolavoro di François Truffaut, il più amato tra i cineasti, il più lieve e tragico, il più grave e sentimentale, scomparso prematuramente quarant’anni fa, a cinquantadue anni. Quello che doveva venire per Truffaut purtroppo nessuno lo saprà mai,
ma la sua opera riluce oggi ancora più splendente, unica, fuori dal tempo. Se certi temi, certe immagini, certi film ci parlano oggi da una sorta di lontana modernità (dei gesti, degli abiti, delle parole e delle passioni), intatte e urgenti sono le domande che Truffaut si pone (e ci pone) sul senso del cinema e dell’amore, sulla relazione tra il cinema e la vita.


Né con te, né senza di te. Frase breve, votata allo scacco, senza via d’uscita che non sia un epilogo tragico e ampiamente annunciato; esito estremo, lirico e crudele, di questo lungo interrogarsi di Truffaut sull’amore: libero, perduto, folle, (extra)coniugale, non corrisposto, anticonvenzionale, in trappola o in fuga.


Una frase e un film che certificano l’impossibilità di fuggire, in un modo o nell’altro, dai fantasmi della passione e da un passato che ritorna, dalla spirale (auto)distruttiva nella quale i due protagonisti e amanti (Fanny Ardant e Gérard Depardieu) sono ciascuno al tempo stesso vittima e carnefice.
E lo saranno fino alla fine, verso la quale ci avviciniamo in un crescendo tragico parossistico e ineluttabile, esaltato dalle musiche di Georges Delerue, il compositore-simbolo della Nouvelle Vague, e meravigliosamente immortalato dal grande direttore della fotografia William Lubtchansky.