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La quattordicesima domenica del tempo ordinario

registaPupi Avati
castGabriele Lavia, Edwige Fenech, Massimo Lopez, Lodovico Guenzi, Camilla Ciraolo, Nick Russo, Cesare Bocci
paeseItalia
anno2023

Orari

Bologna, anni 70. Marzio, Samuele e Sandra sono giovanissimi e ognuno ha un suo sogno da realizzare. La musica, la moda, o forse la carriera. I due ragazzi, amici per la pelle, fondano il gruppo musicale I Leggenda e sognano il successo. Sandra è un fiore di bellezza e aspira a diventare indossatrice. Qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, Marzio sposa Sandra mentre Samuele suona l’organo. Quella ‘quattordicesima domenica’ diventa il titolo di una loro canzone, la sola da loro incisa, la sola ad essere diffusa da qualche radio locale.
Poi un giorno di quei meravigliosi anni novanta in cui tutto sembra loro possibile, si appalesa all’improvviso la burrasca, un vento contrario e ostile che tutto spazza via.
Li ritroviamo 35 anni dopo. Cosa è stato delle loro vite, dei loro rapporti? Ma soprattutto cosa ne è stato dei loro sogni?

‘IL QUARANTATREESIMO FILM DEL CINEMA AVATIANO’: QUESTO POTREBBE ESSERE IL TITOLO ALTERNATIVO DI UN’OPERA CHE HA COME SPINTA PROPULSIVA IL DONO CHE ALCUNI AUTORI (E AVATI INDUBBIAMENTE LO È) SCOPRONO DI POSSEDERE INTERIORMENTE RAGGIUNTA UNA FASE AVANZATA DELLA LORO VITA: IL NON DOVER ESSERE COSTRETTI A DIMOSTRARE NIENTE A NESSUNO.

Il tempo ordinario, nel calendario liturgico della Chiesa cattolica, è il periodo che intercorre tra la Quaresima e l’Avvento, abbraccia la primavera e l’estate, ed è la stagione in cui solitamente ci si sposa. Suona criptico il titolo del nuovo lungometraggio di Pupi Avati, ma in realtà basta fare due conti: La quattordicesima domenica del tempo ordinario – lo ha spiegato lui stesso alla presentazione del film a Roma – indica il 24 gennaio del 1964, giorno il cui il veterano cineasta bolognese (oggi 84 anni e più di 40 film per il cinema al suo attivo) sposò “la più bella ragazza di Bologna”, dopo averla rincorsa per quattro anni. Ed è proprio attorno a un amore assoluto, prima idilliaco e poi sofferto, e ai sogni che svaniscono, che ruota l’ultima fatica dell’instancabile regista, che avevamo lasciato nemmeno un anno fa alle prese con Dante, e che qui torna nel terreno che gli è più congeniale: quello della nostalgia.

Il film si apre con un’immagine poetica, in bianco e nero, di un vecchio chiosco di gelati attorniato da bambini sorridenti, ciascuno col suo cono in mano. È la Bologna del secolo scorso, ed è in quello stesso chiosco – “dove le cose che sognavi, accadevano” – che Marzio conoscerà Sandra, versandole un frappè addosso. La storia si svolge tra gli anni ’70 e i giorni nostri, prima quando i giovani Marzio e Sandra si amano e coltivano i loro sogni – lui quello della musica, insieme al suo migliore amico Samuele, e lei quello della moda, come indossatrice – e poi quando, dopo molti anni, si rincontrano a un funerale e tracciano un bilancio dei loro fallimenti.

Avati e suo fratello Antonio, produttore, giocano ancora una volta con il cast e compongono per questo film un ensemble che definiscono “un mix rischioso ed eccitante”, accostando professionisti, vecchie glorie, volti che non ti aspetti ed esordi: il cantante della band Lo Stato Sociale Lodo Guenzi (già visto in Est – Dittatura Last Minute) e l’attore di teatro classico Gabriele Lavia incarnano Marzio, rispettivamente da giovane e da vecchio; la debuttante Camilla Ciraolo e la reginetta delle commedie sexy degli anni ’70-80 Edwige Fenech sono Sandra, ieri e oggi; l’amico Samuele, che chiude il triangolo, ha i tratti del giovane Nick Russo e del più attempato Massimo Lopez, noto attore comico qui in un’inedita veste drammatica.

“Le cose belle son volate via”, ripete la canzone-cavallo di battaglia che i giovani Marzio e Samuele, che formano il duo I Leggenda, sognano di portare al Festival di Sanremo, prima che il più concreto Samuele molli tutto e accetti un posto fisso in banca, mentre Marzio continuerà caparbio a inseguire l’illusione della musica, diventando un rocker agée, malinconico e fallito che si riduce a sponsorizzare prodotti vari pur di ottenere una comparsata in tv con la sua chitarra.

Tra gioie e dolori, rammarico e felicità, su un sostrato di profonda amarezza e con picchi di voluto patetismo, questo è il film che Avati dichiara essere il suo più sincero e autobiografico. “Siamo tutti falliti rispetto ai nostri sogni”, afferma il regista che da giovane tentò una carriera come clarinettista jazz. Quanto all’amore, uno crede che sia una garanzia di felicità eterna, e invece “la vita prima o poi ti risveglia”.