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Due Giorni, Una notte

castMarion Cotillard, Fabrizio Rongione, Pili Groyne, Simon Caudry, Catherine Salée, Batiste Sornin, Alain Eloy, Myriem Akeddiou, Olivier Gourmet

Dopo la presentazione con successo al festival di Cannes il nuovo film dei fratelli Dardenne arriva in sala il nuovo film dei fratelli Dardenne. Storia di un’operaia che tornata al lavoro dopo un’assenza per depressione si trova a dover lottare per il suo posto di lavoro: dovrà convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus per non farsi licenziare.

“‘Due giorni, una notte’, cosi s’intitola il magnifico film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne arrivati dal Belgio a dire a tutta l’Europa, al mondo intero, che razza di carneficina sia diventato il mondo del lavoro votato, ancor più in tempo di crisi, al neo-liberismo senza argini, all’ ossessione della performance alla concorrenza violenta fra persone egualmente ricattate, egualmente infine deboli. (…) II meccanismo del film, ipnotico, gioca sulla ripetizione dello schema incontro/domanda/risposta che ogni volta irrompe in una diversa vita, ogni volta arriva più fondo. I Dardenne dicono che hanno scelto una donna perché «è la donna oggi ad essere più fragile nel mondo del lavoro, la prima a uscirne. Dicono che è un film sulla «solidarietà, che è sempre una decisione, un atto morale, ed è ancora possibile». Sulla fine della politica che media fra gli interessi individuali in nome di quelli collettivi. È sparita dalla scena: la storia di Sandra non ha colore. E’ una faccenda di anime. II lavoro ai tempi del colera.” (Concita De Gregorio, ‘La Repubblica’, 21 maggio 2014)

“Ci hanno appena certificato che i ‘padroni’ non esistono più; ed ecco venir fuori i fratelli Darenne, così disinformati sulla novità da mettere al centro del loro nuovo film proprio un padrone e i suoi operai, in una piccola fabbrica francese con mono di venti impiegati. II soggetto è lineare; però i cineasti belgi (…) lo svolgono con la tensione di un ‘suspenser’ – tanto che non è nemmeno il caso di raccontarne tutti gli sviluppi – tenendoti in allerta su come andrà a finire quasi si trattasse di un film di Hitchcock. (…) Riusciremo, abituati a trepidare per le sorti di supererai vestiti da clown che si battono contro mostri di effetti speciali, ad appassionarci alla vicenda di Sandra? C’è da augurarsi di si, perché lei è un’eroina vera. Per Sandra la rinuncia al lavoro rappresenta anche una perdita d’identità, di dignità; la fa sentire inadeguata, fino a spingerla sulla via della depressione. Nello stesso tempo, la donna comprende le ragioni dei colleghi, appesi alle sue stesse fragilità, e si sente colpevole di dover chiedere. Eppure non si arrende, per quante sofferenze le possa costare la lotta. Film dopo film, Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno portato sullo schermo un’epica proletaria (sono rimasti in pochi a farlo: Loach, Guédiguian…) piena di pudore e di forza: quella che si ricava, non meno che dalle proprie convinzioni, dallo stile. Anche qui, come nei precedenti, la figura filmica dominante è la ‘semi-soggettiva’: quell’inquadratura dove il personaggio, pur facendone parte, osserva e permette allo spettatore di osservare assieme a lui. Torna il pudore dei gesti, mai eccessivi o troppo sottolineati (il dramma è nelle cose) (…). Un’ottima scelta Marion mostra di poter essere una credibilissima musa proletaria, tutta pudore e orgoglio ferito ma senza un attimo di esagerazione o di esibizionismo del dolore. E se non piangete di lei, di che cosa siete mai soliti piangere?” (Roberto Nepoti, ‘la Repubblica’, 13 novembre 2014)

“(…) una pellicola perfettamente calibrata che trova il suo magico centro in una Marion Cotillard di straordinaria sensibilità e naturalezza nei panni di un’operaia rimasta senza posto dopo una lunga assenza causa depressione. E’ successo che nel referendum proposto dalla direzione agli operai della piccola fabbrica (sedici in tutto) hanno vinto i voti a favore di un premio di produzione di mille euro contro il licenziamento di lei. Poteva essere l’incipit di un pamphlet contro la spietatezza del capitalismo postmoderno, e certo il film sottolinea il peccato originale di chi mette i lavoratori di fronte a un dilemma di tal fatta, ma i Dardenne sono più sottili di così: e, mentre sfidano noi spettatori a porci il quesito, intrecciano i fili di una commedia umana ricca di sfumature e spessore. Sulla spinta di una collega amica che è riuscita a ottenere una nuova votazione e di un amorevole marito, Sandra ha solo due giorni per fare, superando insicurezze e fragilità emotive, la sua campagna elettorale e cambiare il verdetto. Ed è geniale che si tratti di un weekend perché seguendola nei suoi spostamenti porta a porta i Dardenne entrano nell’intimità di altre famiglie anche loro alle prese con i problemi sempre più duri del quotidiano, costruendo un composito affresco che per ambienti, vestiti, dettagli, psicologie, tristezze e allegrie ha l’inconfondibile sapore della verità. A un certo punto si sfiora la tragedia, ma il film risolve in un finale che, senza alcuna retorica, celebra la dignità dell’individuo etico, la gratificazione della vittoria interiore e la solidarietà degli affetti. Grandi Dardenne, grande Cotillard, grande film.” (Alessandra Levantesi Kezich, ‘La Stampa’, 13 novembre 2014)