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All we imagine as light – amore a Mumbai

registaPayal Kapadia
castKani Kusruti, Divya Prabha, Chhaya Kadam, Hridhu Haroon, Azees Nedumangad, Tintumol Joseph, Anand Sami
paeseFrancia
anno2024

Orari

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Prabha è un’infermiera nel reparto ginecologico di un caotico ospedale di Mumbai. Tramite un matrimonio combinato ha sposato senza conoscerlo un uomo che subito dopo si è trasferito in Germania, senza farsi praticamente più sentire. La donna divide un microappartamento con un’infermiera più giovane, Anu. La terza protagonista è la città di Mumbai, metropoli sovraffollata “costruita dalle mani della povera gente” e punteggiata da condomini alveari in cui ognuno ha poco spazio per sé ma coltiva grandi sogni, perché “bisogna credere nelle illusioni, altrimenti si impazzisce”.

GRAND PRIX DELLA GIURIA ALL’ULTIMO FESTIVAL DI CANNES, ALL WE IMAGINE AS LIGHT (AMORE A MUMBAI) È IL NUOVO LAVORO DI PAYAL KAPADIA IN CUI RACCONTA I DESIDERI, LE FRUSTRAZIONI E LE POSSIBILI SVOLTE NELLA VITA DI TRE DONNE DI ETÀ DIFFERENTI NELLA MEGALOPOLI DEL MAHARASHTRA. UN FILM IMMERSO NELLA CULTURA INDIANA, DOVE LE BARRIERE RELIGIOSE, I MATRIMONI COMBINATI E L’EMIGRAZIONE SEPARANO LE PERSONE CHE SI AMANO.

«è come se ognuno di noi non fosse consapevole che esista un percorso alternativo nella nostra vita. Non puoi pensare ad esso perché non sai che esiste. In questo senso, volevo fare un film dove i personaggi possono immaginare, o sperare, un’altra vita. E questa storia assume un valore universale all’interno dell’opera, non importa se questa sia ambientata in India o no, tutti noi abbiamo questi pensieri.» (Payal Kapadia)

«Intrecciato con un’affascinante miscela di densità documentaristica iperrealistica e romanticismo melodrammatico nella tradizione del cinema indiano, All We Imagine as Light brilla particolarmente nei suoi primi due terzi, urbani e notturni, in cui Payal Kapadia dimostra la sua finissima capacità di distillare esteticamente e narrativamente i tanti piccoli e dispersi elementi della vita quotidiana. E se il passaggio alla luce è, per quanto piacevole, più artificiale, con un finale sconcertante, la cineasta impone comunque una firma femminista ibrida piena di fascino e di altissimo potenziale artistico.» (Fabiel Lamarcier, cineuropa.org)