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MENOCCHIO

castMarcello Martini, Maurizio Fanin, Carlo Baldracchi, Nilla Patrizio, Emanuele Bertossi, Agnese Fior, Mirko Artuso, Roberta Potrich.

Premiato al Festival di Locarno e Annecy. I protagonisti del film Nilla Patrizio (moglie di Menocchio) e Marcello Martini (Menocchio) saranno ospiti al Cinema Italia per presentare il film al pubblico di Belluno domenica 09 Dicembre

Italia. Fine 1500. La Chiesa Cattolica Romana, sentendosi minacciata nella sua egemonia dalla Riforma Protestante, sferra la prima sistematica guerra ideologica di uno Stato per il controllo totale delle coscienze. Il nuovo confessionale, disegnato proprio in questi anni, si trasforma da luogo di consolazione delle anime a tribunale della mente. Ascoltare, spiare e denunciare il prossimo diventano pratiche obbligatorie, pena: la scomunica, il carcere o il rogo. Menocchio, vecchio, cocciuto mugnaio autodidatta di un piccolo villaggio sperduto fra i monti del Friuli, decide di ribellarsi. Ricercato per eresia, non dà ascolto alle suppliche di amici e famigliari e invece di fuggire o patteggiare, affronta il processo. Non è solo stanco di soprusi, abusi, tasse, ingiustizie. In quanto uomo, Menocchio è genuinamente convinto di essere uguale ai vescovi, agli inquisitori e persino al Papa, tanto che nel suo intimo spera, sente e crede di poterli riconvertire a un ideale di povertà e amore.

MENOCCHIO è stato segnalato come FILM DELLA CRITICA DAL SNCCI – SINDACATO NAZIONALE CRITICI CINEMATOGRAFICI ITALIANI con la seguente motivazione:

“Luce, tenebre, voci, volti. Verità. È con questa materia primordiale che Alberto Fasulo plasma una storia, umanissima e vibrante, che mutua con appassionato rigore le vicende del mugnaio del ‘500 condannato per eresia, per indagare a fondo nella complessa relazione tra individuo, comunità e potere. In tempi che si annunciano bui come quelli del presente, un film insolitamente politico e sorprendentemente attuale che si offre come fiero esempio di ribellione e di stoica virtù.”

La straordinaria storia di Domenico Scandella detto Menocchio, mugnaio che alla fine del Cinquecento affrontò il tribunale della Santa Inquisizione difendendo le proprie teorie eretiche sulla natura di Dio e sulla Chiesa di Roma.

Le fiamme avviluppano i titoli di testa. E contraddistinguono da subito vita e morte di Domenico Scandella detto Menocchio. Le fiamme dell’inferno e del rogo purificatore, delle torce che servono a rischiarare i bui anfratti della cella in cui Menocchio viene rinchiuso.

Il fuoco, la terra e gli elementi della natura assurgono da subito a protagonisti nel film di Alberto Fasulo, assecondando il punto di vista di un mugnaio che lì trova Dio. Il motore invisibile di ogni cosa sembra essersi “nascosto” per la vergogna di aver creato l’uomo, ma gli uomini che lo rappresentano sono al contrario presenti e assai visibili. Dio è negli alberi, nel vento, nei miracoli quotidiani che nessuno sottolinea ma che sono tangibili, laddove i dogmi della Chiesa paiono puro artificio. Menocchio non accetta che Maria sia vergine o che il Paradiso sia quello che gli hanno raccontato. In particolare non crede a chi di questa fede approfitta, per una mera questione di potere. “Il Dio delle ricchezze è qui… Ma il Dio dei poveri, dov’è?”.

L’elemento sociale e quello spirituale sono intrecciati e inscindibili, mettere in discussione l’uno significa sfidare l’altro. E pagarne le conseguenze. Il mugnaio lo sa, ma non arretra di un passo, con il cipiglio fiero delle rughe e dell’occhio glauco di Marcello Martini, attore per caso. L’aver individuato il volto del protagonista è solo uno dei miracoli di Alberto Fasulo, che in Menocchio muta ed eleva il proprio stile, rendendolo pittorico e materico.

L’elemento sociale e quello spirituale sono intrecciati e inscindibili, mettere in discussione l’uno significa sfidare l’altro. E pagarne le conseguenze. Il mugnaio lo sa, ma non arretra di un passo, con il cipiglio fiero delle rughe e dell’occhio glauco di Marcello Martini, attore per caso. L’aver individuato il volto del protagonista è solo uno dei miracoli di Alberto Fasulo, che in Menocchio muta ed eleva il proprio stile, rendendolo pittorico e materico.

Non a caso una delle sequenze più potenti del film è quella in cui il mugnaio posa il suo primo sguardo sugli affreschi dell’aula in cui sarà processato. Lì osserva l’autorappresentazione del potere, una successione di papi e re che sembrano imperturbabili di fronte all’affronto del mugnaio, anche loro a fianco dell’Inquisizione nell’unitario compattarsi del Potere. Da Augusto Tretti ad Alberto Fasulo il Potere ha mille volti ma è come se ne avesse uno solo, quando si tratta di difendere la propria autorità e il proprio privilegio.

Un cinema della sobrietà, virtù rara nel cinema italiano, che fa sua la lezione di Rossellini e Bresson ma che cerca di non strafare, di non sottolineare mai l’eccesso. Senza cedere al ricatto del sentimentalismo, o della comoda semplificazione. Le inquadrature sbilenche e i primi piani deformati seguono i turbamenti dell’animo di un uomo che non smette mai di interrogarsi sulle proprie credenze, laddove chi lo giudica vive di verità assolute e incontrovertibili. Cinema per non dimenticare da dove siamo venuti e dove potremmo tornare. Per non dimenticare il sangue versato da chi ha scelto di difendere la propria irriducibile diversità di pensiero.