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Cafè Society

castJesse Eisenberg, Kristen Stewart, Blake Lively, Steve Carell, Kelly Rohrbach, Anna Camp, Corey Stoll, Parker Posey, Judy Davis, Paul Schneider, Don Stark, Tony Sirico, Ken Stott, Lev Gorn

FILM D’APERTURA, FUORI CONCORSO, AL 69. FESTIVAL DI CANNES (2016)

New York, 1930. Bobby Dorfman ha sempre più difficoltà a destreggiarsi tra i genitori litigiosi, il fratello gangster e la gioielleria di famiglia. Bobby, infatti, sente che ha bisogno di un cambiamento radicale e decide di tentare la fortuna a Hollywood. Si trasferisce così a Los Angeles, dove trova un impiego come fattorino grazie al potente zio Phil, agente cinematografico, si innamora immediatamente di Vonnie, una ragazza bella e divertente, purtroppo già fidanzata, e stringe amicizia con Rad, proprietaria di un’agenzia di modelle, e con suo marito Steve, un ricco produttore. Quando Vonnie viene lasciata dal fidanzato, Bobby, che si era già rassegnato a dividere con lei un semplice rapporto di amicizia, vede l’opportunità di cambiare finalmente la sua vita, ma alla proposta di sposarlo e trasferirsi a New York, la donna seppur tentata, manda all’aria i piani. Bobby con il cuore in frantumi, torna a New York dove inizia a lavorare per il fratello Ben, che nel frattempo gestisce un night club. Bobby mostra un talento naturale come impresario, e promuove rapidamente il club, ribattezzato con il nome “Les Tropiques”, rendendolo uno dei più frequentati della città. Rad gli presenta la bella e mondana Veronica e lui la corteggia Café Society assiduamente. Anche se il suo interesse per Vonnie non è mai svanito, quando Veronica gli rivela di essere incinta, si sposano ed iniziano una vita veramente felice insieme. Tutto sembra andare a gonfie vele per Bobby fino alla notte in cui Vonnie si presenta a “Les Tropiques”…

CRITICA:

“Confesso: sono un fan di Woody Allen. Mi piacciono (quasi tutti) i suoi film ma soprattutto mi piacciono i suoi personaggi sempre un po’ in ritardo rispetto alla realtà, costretti a inseguire i fatti della vita forse perché li hanno troppo preceduti con i loro sogni e le loro fantasie. Proprio come Bobby, il protagonista del suo ultimo film (…) il 47mo se ho fatto bene i conti (…). La materia è dichiaratamente romanzesca e Woody Allen l’ha pensata e sceneggiata proprio come fosse un romanzo, ritagliandosi dei momenti in cui intervenire in prima persona grazie alla voce off del narratore (la sua nella versione originale). E del romanzo il film si prende le libertà, a volte accorciando i tempi dell’azione, altre volte regalandosi gustose pause e digressioni, le più divertenti delle quali sull’ebraitudine dei famigliari (…). Questa materia così ricca permette al regista di legare insieme due dei suoi tradizionali topoi: da una parte, la diffidenza verso il mondo del cinema di Hollywood, di cui non condivide arrivismo, superficialità, finte amicizie e falsi sorrisi (pur amando, e molto, i film che riusciva a fare) e, dall’altra parte, l ‘«inevitabile » malinconia che si accompagna all’amore, la cui ricerca finisce spesso per trasformarsi per le persone in una felicità zoppa, mai davvero piena e goduta. È quel velo di tristezza, a volte più forte altre più esile, che la regia fa leggere sui volti di Eisenberg e della Stewart mentre la fotografia «dorata» di Vittorio Storaro ne accentua l’effetto per contrasto. E che la (commovente) dissolvenza incrociata tra i volti dei due protagonisti che chiude il film suggella con la tenerezza che spesso ha caratterizzato gli eroi alleniani. Qualcuno dirà che non c ‘è niente di «nuovo» in questo film, né la riflessione sulla fragilità dei sentimenti umani né i compromessi che la vita spinge ad accettare (…) ma è la grazia e la comprensione con cui Woody Allen guarda alle debolezze umane che conquista. Oltre naturalmente alla sua inesauribile ironia.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 12 maggio 2016)

“Niente è più noioso di chi dice che Woody Allen fa sempre lo stesso film. Lo sappiamo, ci siamo cascati tutti ed è vero che se giri un film l’anno non tutti saranno capolavori. Però ‘Café Society’ (…) sprizza in ogni scena la sicurezza del grande narratore. Anche se magari è un film ‘minore’ e rimescola il solito mazzo di carte infallibili. (…) C’è il jazz, c’è l’America anni 30, versione East e West Coast, c’è una famiglia ebrea tutta nevrosi e meschinità, ci sono le trappole del destino e i dilemmi della morale. Insomma l’Allen di oggi e di ieri, in un film ambientato negli anni 30 che ci parla più di tanti lavori al presente. Jesse Eisenberg, sempre più incredibilmente bravo (…) film tutto sottotraccia, che lascia intendere più di quanto spieghi. (…) Kristen Stewart, brava ma fuori posto (…) tra battute da Hollywood Babilonia (…), tramonti a Central Park (le luci sono firmate Storaro e si vede in ogni inquadratura) e omaggi alla star più moderna dell’epoca, Barbara Stanwyck, ‘Cafe Society’ ci porta verso un epilogo aperto, sconcertante quanto moderno. Ironia della sorte, questo film sulle Majors di una volta è prodotto da Amazon (…) ed è dominato da un attore lanciato dal ruolo di Mark Zuckerberg. Ogni film in costume, ce ne fossimo dimenticati, allude al presente.” (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 12 maggio 2016)

“Racchiuso nella durata aurea di 96 minuti, girato in digitale con una fotografia molto ‘arancione’ di Vittorio Storaro, costruito come una commedia romantica con fughe nella farsa yiddish, ‘Café Society’ potrebbe sembrare un piccolo film ma abbiamo il forte sospetto che non lo sia. I temi che Woody Allen mette in campo sono quelli di tutta una vita. Punto prima: Los Angeles vs New York. Il film è un andirivieni tra le due anime dell’America, e si sa per chi fa il tifo Woody, ma la visione di Hollywood come una giungla popolata di belve pronte a divorarsi si incrocia con la memoria agrodolce del meraviglioso cinema che quelle stesse belve sapevano creare. Punto secondo: il rimpianto per il grande amore che poteva essere e non è stato. (…) Punto terza l’identità ebraica. Gli ebrei hanno fatto Hollywood, ma sono stati anche gangsters in quel di New York (Sergio Leone docet), il loro misticismo si accompagna a una visione dura e pragmatica dell’esistenza. Non credono nel paradiso ma sono pronti a comprarselo (Woody AIlen docet). ‘Cafe Society’ non è perfetto: Jesse Eisenberg e Kristen Stewart non hanno né il talento né il carisma che richiederebbero i loro personaggi, Steve Carell è fuori ruolo – ma sono perfetti i comprimari, è efficace la ricostruzione d’epoca, è beffarda e struggente la rievocazione della Hollywood degli anni 30. Lo ricorderemo, un giorno, come uno dei film in cui Woody Allen ha messo in scena il suo ironico e disperato senso della vita.” (Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 12 maggio 2016)